Donne da primati
Dian Fossey, Jane Goodall, Birutė Galdikas, le Trimates, come le ribattezzò l’eccentrico paleoantropologo britannico Louis Leakey, formavano un terzetto di intrepide ricercatrici con la passione comune per gli animali e lo studio delle grandi scimmie antropomorfe.
Erano le Leakey’s Angels.
Tra gli anni Sessanta e Settanta, i risultati delle loro osservazioni su gorilla, scimpanzé, orangutan, e delle ricerche sul campo, le più lunghe e dettagliate mai realizzate su singole popolazioni di animali selvatici, favorirono un nuovo approccio alla primatologia, mettendo in discussione molte delle certezze antropocentriche.
Un animale per amico
Dian Fossey nasce a San Francisco nel 1932. La separazione dei genitori, i problemi di alcolismo del padre che lo portarono al suicidio, il rapporto ostile col patrigno dal quale non verrà mai riconosciuta come figlia, la condannano a un’infanzia infelice e di solitudine.
I suoi amici sono gli animali, gli unici esseri viventi nei quali ricerca il calore e la tenerezza che la famiglia le negano.
Anche il percorso di studi non è semplice né lineare. Alcune difficoltà con le materie strettamente scientifiche e l’opposizione dei familiari fanno sì che non riesca a portare a termine la facoltà di preveterinaria.
Dovrà ripiegare sulla laurea in Occupational Therapy, una scelta che si rivelerà estremamente utile in futuro.
Sette settimane e due incontri
Poco più che trentenne, nel 1963, Dian ottiene un cospicuo prestito che usa per compiere un viaggio in Africa, destinazione Kenya, Tanzania, Zaire (oggi Repubblica democratica del Congo) e Zimbabwe.
Le basteranno sette settimane e gli incontri con due uomini straordinari per imprimere una svolta fondamentale alla sua vita: George Schaller, biologo statunitense, all’epoca impegnato sul Monte Mikeno in uno studio pionieristico sui gorilla di montagna, e Louis Leakey, il celebre paleoantropologo che le consente di visitare gli scavi ai quali sta lavorando nel sito archeologico della Gola di Olduvai in Tanzania.
E’ solo un’appendice
Passati tre anni, Dian incrocia nuovamente Leakey, stavolta di passaggio a Louisville per una conferenza, e gli sottopone alcuni articoli che nel frattempo è riuscita a far pubblicare.
L’antropologo è impressionato dall’eccezionale perseveranza di quella studiosa volitiva.
E’ disposto a trovare i fondi e affidarle una ricerca sui gorilla di montagna in Africa, una specie a grave rischio di estinzione. Un progetto che richiede dedizione assoluta ed energie fuori dal comune.
A tal proposito si racconta che Leakey le abbia consigliato di asportare l’appendice, precauzione dovuta ai racconti orribili che gli erano giunti all’orecchio, per evitare letali peritoniti nel bel mezzo della giungla, distante da qualsivoglia ospedale.
Naturalmente Dian lo fece senza batter ciglio, eccetto scoprire che quell’indicazione, fortemente consigliata agli esploratori e viaggiatori estremi del passato, aveva soprattutto lo scopo di misurare la sua determinazione.
Stessa sorte toccò all’appendice di Birutė Galdikas che pare fosse disposta a togliere addirittura le tonsille, se necessario, mentre nulla si sa in merito a quella di Jane Goodall.
Nuova vita nel Virunga
Nel 1966 Dian Fossey si trasferisce nello Zaire, ma la permanenza nel Paese, che ha appena conquistato l’indipendenza dal severo dominio coloniale belga, dura poco.
La forte instabilità politica alimenta disordini e sommosse, e lei è costretta a spostarsi in Ruanda.
Tra le fredde foreste del Virunga, in poco tempo, fonda il Karisoke Research Centre e si prepara a condurre un’esistenza decisamente spartana: vive in una tenda, mangia cibo in scatola e passa la maggior parte del tempo a spiare dei grossi gorilla poco inclini a farsi avvicinare.
Bisogna guadagnarsi la fiducia, comportarsi e muoversi come loro, far breccia nella naturale diffidenza nei confronti dell’uomo che riconoscono solo nella figura poco amichevole del bracconiere.
Le tecniche apprese anni prima nell’ospedale pediatrico come terapista occupazionale le vengono in soccorso.
Dian comincia a imitare quegli scimmioni: si gratta energicamente, emette grugniti, mastica germogli di bambù, cammina a quattro zampe appoggiandosi sulle nocche delle mani.
Il tocco gentile di Peanuts
Prima o poi le scimmie accetteranno la sua presenza e lei potrà cominciare a osservarle da vicino, distinguerle, identificarle attraverso l’impronta nasale, narici e pieghe trasversali del naso, una pratica che il biologo George Schaller aveva già introdotto nel suo studio pilota sui gorilla.
A Karisoke ha modo di analizzare le dinamiche sociali di questi straordinari primati che vivono in gruppi formati da una dozzina di individui guidati da un capo.
Traccia le distanze giornaliere percorse dagli animali, studia la loro dieta, costituita prevalentemente di vegetali con casi sporadici di coprofagia.
Capisce che tra loro si instaurano legami familiari molto forti fondati sul senso di appartenenza, sull’accudimento e la protezione dei cuccioli.
I giganti gentili si lasciano avvicinare e al tempo stesso ignorano quell’essere estraneo. Ma un giorno, il segnale che lei sta aspettando da anni arriva inatteso.
Peanuts, un maschio del branco, le si avvicina e le tocca delicatamente la mano, un gesto semplice ma significativo che apre nuove, stupefacenti prospettive alle relazioni tra loro.
Nei 18 anni trascorsi al campo, Fossey arriva a conoscere tutti i gorilla della zona, uno a uno, attribuendo nomi propri in base alle singole caratteristiche e alla personalità, stabilendo con ciascuno un rapporto di fiducia reciproca e di amore profondo.
La macchina da presa di Bob Campbell, il fotografo inviato dal National Geographic di cui Dian si era innamorata e che visse accanto a lei per quattro anni, ci ha consegnato alcune straordinarie testimonianze.
Digit, un amore di gorilla
Il passaggio dallo studio dei primati ai programmi di protezione e alla salvaguardia del loro habitat naturale, fu per lei una conseguenza inevitabile.
Era arrivato il momento di contrastare con ogni mezzo l’attività di bracconaggio che aveva portato la popolazione di gorilla a un passo dall’estinzione.
Sfida il cinismo dei cacciatori di cuccioli destinati al mercato degli animali esotici e agli zoo europei, disposti anche allo sterminio dell’intero gruppo che interveniva in loro difesa.
Le teste e gli arti venivano mozzati e venduti come grotteschi trofei, le mani usate come posacenere.
E se tutto questo era inaccettabile, il peggio doveva ancora accadere.
Così, mentre il mondo si prepara a festeggiare l’arrivo di un nuovo anno, il 31 dicembre 1977, per qualcuno quella notte sarà la più buia di sempre.
Un grande esemplare di gorilla maschio fu trovato senza vita, nel tentativo di proteggere la sua famiglia venne ucciso e mutilato dai bracconieri.
Non era un esemplare qualunque, si chiamava Digit quel gorilla, ed era in assoluto il preferito di Dian, il più amato.
Da quel lutto, da quello straziante dolore, Fossey non riemergerà mai più.
Guerra senza quartiere
Questo episodio odioso marca uno spartiacque invalicabile fra il prima e il dopo, segnando definitivamente i rapporti già tesi tra la studiosa e alcuni ambienti a lei ostili.
Da quel momento, e per il resto della sua vita, sarà guerra senza quartiere al bracconaggio e al turismo, responsabile di introdurre malattie umane, letali per quelle grandi scimmie prive degli anticorpi necessari a combatterle.
Ostacola come può la distruzione del loro habitat naturale, costringendo il governo locale a rallentare il processo di disboscamento della foresta.
Fonda il Digit Fund, rinominato Dian Fossey Gorilla Fund, che rappresenta ancora oggi l’eredità più preziosa e significativa del pensiero e dell’attività della primatologa.
Ma col passare del tempo la sua opposizione, passionale e incontrollata, la spinge oltre il limite ragionevole del lecito.
Quella donna aggressiva e spigolosa, ossessiva e incapace di qualsiasi compromesso, arriva a bruciare le capanne dei cacciatori, a terrorizzarli con finte esecuzioni, li minaccia fisicamente, insegna ai pacifici e intelligenti gorilla a diffidare dell’uomo africano.
Decisamente troppi nemici per una donna sola che vive isolata tra le montagne remote del Ruanda.
Questa parte della sua vita ce la racconta nella toccante autobiografia Gorillas in the Mist (Gorilla nella nebbia), pubblicata nel 1983 e portata sugli schermi cinque anni più tardi dall’omonimo film diretto da Michael Apted, interpretato da una mirabile Sigourney Weaver.
Nessuno amò i gorilla più di lei
E’ scesa la sera al centro di ricerca di Karisoke, qualcuno si fa strada tra le assi della capanna più grande.
Una persona che probabilmente conosce bene il luogo e le abitudini della padrona di casa. E chiunque sia, sta stringendo in mano un’arma.
Il mattino del 27 dicembre 1985, il corpo di Dian Fossey viene trovato privo di vita.
Uno sconosciuto l’ha ferocemente massacrata a colpi di machete, senza portare via nulla.
Le indagini del governo ruandese si concentrarono sull’assistente della primatologa, il connazionale Wayne McGuire, decretandone la colpevolezza.
Grazie a un probabile intervento dell'ambasciata americana, il giovane poté scappare e rifugiarsi negli Stati Uniti, evitando la cattura.
A distanza di trentacinque anni, gli esecutori materiali e i mandanti dell’omicidio non hanno ancora un nome. E mentre la condanna a McGuire non ha mai convinto del tutto, nel tempo si è rafforzata l’ipotesi che dietro a quell’uccisione ci fossero i bracconieri con il coinvolgimento di alcuni funzionari del governo locale, assieme ad altri soggetti esterni legati a forti interessi commerciali.
A Karisoke, nel piccolo cimitero dei gorilla, Dian Fossey è sepolta a pochi passi dalla tomba di Digit.
L’epigrafe sulla sua lapide recita: “No one loved gorillas more".