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Le anatre a teatro

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Le anatre a teatro

Gli animali sono “fratelli, compagni e schiavi”, diceva Charles Darwin.
Sono alleati nella caccia, sono cibo, macchine da lavoro e strumenti per la ricerca scientifica. Sono le vittime inconsapevoli delle politiche economiche e di sviluppo.
E l’uomo, prendendo le distanze dalla propria origine animale, grazie al linguaggio e al raziocinio, ha assunto una posizione predominante sulle altre specie viventi, sottomettendole ai propri bisogni.

L'importanza del lombrico

“L’essere umano su questo pianeta, in quanto specie più intelligente, dovrebbe considerarsi come un albero i cui rami sono le sterminate specie animali e vegetali che lo compongono e compongono la diversità biologica, per cui perdere uno di questi rami equivarrebbe a permettere l’amputazione di uno dei propri arti, rendendone sempre più complicata la vita; ragion per cui, l’impegno di tutti, per la salvaguardia della diversità biologica, dovrebbe essere motivo d’orgoglio, oltre che un dovere etico...”.

A scriverlo è il biologo statunitense Edward Osborne Wilson (Birmingham - Alabama 1929) fondatore della sociobiologia, uno dei massimi esperti mondiali della biodiversità.

Sull’onda di un giovane rinascimento ecologico, a metà del secolo scorso si è iniziato a considerare la natura per il suo patrimonio biologico.
La visione antropocentrica viene lentamente sostituita dal concetto di ecosistema in cui l'uomo è solo uno dei tasselli che compongono la biosfera, e nel quale ogni organismo ha un ruolo fondamentale per la salute del Pianeta.

Molti vegetali, funghi e batteri mantengono l’ambiente pulito per la loro capacità di degradare i nostri rifiuti e riciclarne i nutrienti. I lombrichi fertilizzano il terreno grazie alla decomposizione della sostanza organica. Le api e gli altri insetti impollinatori permettono alle piante di fiorire e fruttificare, alcuni uccelli e mammiferi disseminano i frutti selvatici. I grandi predatori mantengono stabile la catena alimentare.

Per questo l’attacco alla biodiversità, l’alterazione di un equilibrio divenuto estremamente fragile, mette in pericolo la sopravvivenza di molte specie, inclusa la nostra.

"Ecosistemi" urbani

Fino a due secoli fa, solo una percentuale minima della popolazione mondiale viveva in città e, di queste, erano davvero poche quelle con più di centomila abitanti.
Oggi, secondo le ultime stime dell’Onu, oltre la metà risiede in aree urbane e in metropoli che superano i 10 milioni di abitanti.

Purtroppo la maggior parte delle zone in rapida espansione si concentrano in Asia e Africa, anche in corrispondenza di importanti hotspot di biodiversità mondiale. In risposta al processo di urbanizzazione, alla perdita e frammentazione degli habitat, al consumo del suolo, servendosi di corridoi ecologici, molte specie selvatiche, animali e vegetali, hanno iniziato a muoversi ed espandersi verso i centri abitati, strade, giardini, zone industriali, discariche.

Questo fenomeno denominato sinantropismo non riguarda nello stesso modo le città.
Non tutte infatti si prestano alla colonizzazione, legata a specifiche caratteristiche naturali che predispongono più di altre all’avanzamento della fauna, come la presenza o la prossimità di aree verdi e boschive, i corsi d’acqua.
Di norma, gli agglomerati urbani risultano inospitali e impenetrabili alla maggior parte degli animali, soprattutto quelli che riescono a vivere solo all’interno di ecosistemi naturali.

Un nido sul grattacielo

Per quelli più flessibili, le città rappresentano invece opportunità di cibo, straordinariamente energetico e facilmente reperibile tra i rifiuti di cui queste abbondano, e disponibile tutto l’anno; offrono protezione dai predatori e luoghi sicuri per la nidificazione; garantiscono temperature più miti grazie all’asfalto e al cemento che trattengono il calore del sole.

Sfruttando i numerosi vantaggi, alcuni di loro hanno raggiunto un successo evolutivo probabilmente pari o superiore a quello che avrebbero ottenuto in contesti esclusivamente naturali, altri si sono salvati dall’estinzione, come nel caso del falco pellegrino.

Oggi, non è raro trovare i nidi di questo rapace straordinario sui palazzi più alti di Milano, come in cima ai grattacieli di New York.

Le specie davvero vincenti sono tuttavia quelle che producono una prole numerosa, caratteristica essenziale per assicurarsi una discendenza in un contesto carico di rischi.

Alcuni studi hanno dimostrato che gli "urban adapters" - gabbiani, cornacchie, volpi, cinghiali, per citare i più comuni e diffusi - hanno sviluppato una massa cerebrale maggiore, associata alla capacità di adattamento a situazioni imprevedibili e insidiose.

Gli alieni tra noi

Un’altra faccia del sinantropismo è rappresentata dalle specie aliene, spesso importate come animali da compagnia, originarie di altri luoghi e che, in seguito alla loro introduzione accidentale nell’ambiente o rilasciate volontariamente, hanno iniziato a diffondersi nei centri abitati, nelle acque dei fiumi e dei laghi, nelle aree verdi delle nostre città.

Nutrie, scoiattoli grigi, parrocchetto dal collare o parrocchetto monaco, procioni e molti altri mammiferi, uccelli, pesci e un’infinità di insetti e vegetali, convivono con le specie autoctone, spesso in competizione vincente con queste ultime.

Ma in alcuni casi possono rappresentare seri rischi per la biodiversità.
E’ il caso della testuggine dalle guance rosse, Trachemys scripta, specie invasiva, portatrice di malattie e parassiti, considerata una vera insidia per la sopravvivenza della testuggine palustre europea, Emys orbicularis, ormai classificata dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura come prossima alla minaccia.

Attenti al lupo

L’ecologo statunitense John Laundré, durante uno studio condotto sugli alci, arrivò alla conclusione che la paura suscitata dalla presenza del lupo grigio, che era stato reintrodotto nel Parco nazionale di Yellowstone, aveva un forte impatto sul comportamento di questi animali, anche in assenza di aggressione.

Lo studioso coniò il termine landscape of fear  (il paesaggio della paura) che costituisce anche un modello secondo cui gli animali costruiscono una mappa mentale di rischio che influenza il loro modo di muoversi sul territorio e, tenendo conto dei costi e dei benefici degli spostamenti, selezionano di conseguenza i luoghi più sicuri per mangiare senza essere catturati e uccisi.

Per le stesse ragioni, la fauna selvatica evita il più possibile il contatto ravvicinato e diretto con l’uomo, percepito come un superpredatore estremamente pericoloso.
Il timore suscitato dalla presenza umana è così forte da determinare in loro importanti cambiamenti nei tempi di attività e ridurre drasticamente gli spostamenti.

Molti mammiferi delle specie diurne, che vivono in contesti antropizzati, mutano i loro ritmi di vita fino a diventare notturni, risultando per la maggior parte del tempo “invisibili” agli uomini.

Ma nella primavera del 2020, in seguito al primo confinamento dovuto allo scoppio della pandemia da Covid-19, è successo qualcosa di straordinario.

Nel silenzio del lockdown

Fra tanti fotomontaggi e fake news, altre testimonianze vere e documentate, hanno raccontato per immagini l’avanzata spavalda e surreale di selvatici nelle vie deserte delle città di tutto il mondo, messe in sordina dal lockdown prolungato.

Attenzione però a definirla "invasione”, avvertono gli studiosi: molti di questi animali sono già tra noi e ci osservano senza essere visti, mantenendosi a prudente distanza.

Resi più temerari da una presenza umana insolitamente discreta e defilata, rassicurati da un ambiente finalmente silenzioso, riconciliati dall’alternanza di ritmi di attività e riposo più naturali, sono venuti allo scoperto contribuendo a creare scenari improbabili di una realtà immaginaria, suscitando uno straniamento spazio-temporale.

Mai avremmo pensato di poter immortalare un giorno un’elegante sfilata parigina di germani davanti alla Comédie Française, o mentre attraversano con grande senso civico sulle strisce pedonali, né i timidi cervi riflettersi nelle vetrine dei negozi del centro o in perlustrazione nella ciittà giapponese di Nara.
Poi si sono aggiunti i branchi di bufali a Nuova Dehli e il puma solitario sceso dalle montagne in cerca di cibo nei quartieri di Santiago del Cile.
La città di Llandudno, nel nord del Galles, di sicuro non si aspettava di essere conquistata da mandrie ruminanti di capre di montagna, né l'automobilista australiano temeva di investire quel canguro che attraversa le strade di Adelaide.
E nemmeno ai tempi di Willy il Coyote lo si poteva immaginare in posa sullo sfondo del Golden Gate Bridge di San Francisco. Come i guizzi dei delfini lungo le coste francesi ci ricordano più uno spettacolo in acquario che a libere evoluzioni in mare aperto.

L'aquila nei cieli di Milano

Ma il lockdown è stato un fenomeno troppo improvviso e passeggero per poter innescare processi di colonizzazione stabili e duraturi.

E così, queste immagini incise nella nostra memoria rimarranno quello che sono, il segno spettacolare di una riconquista temporanea degli spazi che gli uomini hanno sottratto alla natura.
Ma per noi continuerà a essere la rappresentazione più sorprendente e simbolica della strenua resistenza degli ecosistemi, nonostante noi, a dispetto di tutto.

Forse era questo, effimero ma bellissimo, il messaggio portato in volo dalla giovane aquila reale (Aquila chrysaëtos) avvistata ad aprile 2020 e fotografata da un birdwatcher nei cieli di Milano.
E a distanza di neanche un anno, gli esemplari di aquile reali sono diventati due.