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L'albero delle meraviglie

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Risorse utili:

Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact on the Earth  (1995)
di Mathis Wackernagel e William E. Rees

L'albero delle meraviglie

Erano magnifici abeti che abitavano i boschi silenziosi delle vallate alpine, ignari del destino che un giorno li avrebbe trasformati in sfavillanti alberi di Natale, spediti ad abbellire le piazze durante la festività più importante dell'anno.

I magnifici tre

E così l'abete rosso della val di Fiemme, arrivato nella capitale in condizioni indecorose, viene subito ribattezzato Spelacchio dai perfidi social.
Ma un simbolo rimane un simbolo, a prescindere diceva Totò, e un cuore benevolo giunto per omaggiarlo nella piazza capitolina affida agli scarni rami un messaggio d’incoraggiamento: “Non mollare... Spelacchio sei solo un diversamente albero".

L’anno successivo, era il 2018, l’amministrazione non ci sta a rimediare un’altra brutta figura.
Stavolta è in arrivo un imponente esemplare della specie  Abies Nordmanniana  (o abete del Caucaso) di 23 metri di altezza, sponsorizzato addirittura da Netflix.
Ma, vuoi per la legatura estrema, pretesa dalle norme di sicurezza, vuoi per il viaggio di oltre 700 chilometri, molti rami si sono spezzati ancor prima di essere scaricato. Il tormentone scatta a molla e stavolta sarà Spezzacchio.

Mentre il mondo si prepara a far festa, a pochi giorni dall’installazione nella Galleria Umberto I di Napoli, si sparge la notizia tutt’altro che inattesa della sparizione dell’albero di natale.
E’ opera di una gang giovanile, assicurano le forze dell’ordine, che da qualche anno lo rubano, probabilmente per alimentare il grande falò dedicato a Sant'Antonio.
Purtroppo, nemmeno il lieto fine del ritrovamento può fermare la macchina a orologeria dei social che già l’hanno chiamato Rubacchio.

Yule, il pagano

L’origine dell’albero di Natale ci porta indietro fino alle civiltà dei popoli nordici e rimanda al simbolismo pagano dell’albero di Yule, di tradizione celtica e germanica, ornato di spighe, frutta e fiori per celebrare le festività precristiane del Solstizio, il 21 dicembre, quando la notte più lunga dell’anno, arrivata al suo culmine, cede lentamente alla luce.
E’ la morte del Vecchio Sole e la nascita del Sole Bambino, momento di rinascita e annuncio di primavera, con tutte le implicazioni positive legate alla fertilità dei campi, alla sopravvivenza dell’uomo e al benessere delle comunità.

Dalla tradizione a Instagram

Tralasciando i secoli successivi e l’evoluzione della tradizione secondo la cultura cristiana, a partire dai primi anni del Novecento, in Europa come nel Nord America, gli alberi di Natale si diffondono come mai prima.

Senza abbandonare i luoghi simbolo delle comunità, entrano negli spazi domestici e mutuano il rito collettivo nella moltiplicazione di riti privati, individuali. In una dimensione sempre più commerciale e consumistica, ogni casa ha il proprio albero, personalizzato, la cui ricchezza e varietà degli addobbi riflette lo status sociale ed economico di ciascuna famiglia.

Ma se la rivoluzione del ventesimo secolo segna il passaggio dalla pianta viva a quella sintetica, nel terzo millennio, spogliato del residuale messaggio religioso, l’albero di Natale è ridotto a simulacro.
Mutato in installazione più o meno ingegnosa, imponente, diventa l’oggetto scenografico che conosciamo, obbligatoriamente instagrammabile.

Eccezionale, a tutti i costi

Sull’onda dell’eccezionale a tutti i costi, ogni anno si moltiplicano i primati.
Alimentate da oltre otto chilometri di cavi elettrici, 950 lampadine disegnano la sagoma luminosa del più grande albero al mondo, adagiato sul crinale del Monte Ingino, a Gubbio.

Occorrono due mesi e il lavoro di trecento uomini per montare quello di Lisbona, il più alto, affacciato sulle acque dell’Oceano Atlantico, così come lo è quello dell’ex colonia portoghese, il più grande albero galleggiante al mondo, nella laguna di Rodrigo de Freitas, a Rio de Janeiro.

Poi ci sono alberi di Natale che più di altri appartengono alla nostra storia e all’immaginario collettivo.

Quello al Rockfeller Centre di New York è forse l’esempio più cinematografato di sempre. Un’infinità di macchine da presa si sono fermate in questo angolo della Grande Mela per consegnarlo a inquadrature non sempre memorabili.

Nella piazza dedicata a Horatio Nelson, l’eroe di Waterloo, gremita di turisti e londinesi, durante le festività di fine anno si staglia il maestoso peccio di Trafalgar Square, emblema di una storia di solidarietà tra popoli.
Dal 1947, nella foresta di Østmarka, vicino a Oslo, ogni anno si svolge una cerimonia per scegliere un esemplare di abete rosso che il paese scandinavo donerà alla città di Londra.
E’ un segno di gratitudine e ringraziamento per l’aiuto ricevuto dalla Gran Bretagna durante l’occupazione della Norvegia da parte delle truppe tedesche, nella Seconda Guerra Mondiale.

E infine, sono gli Emirati Arabi ad accaparrarsi nel 2010, per la prima volta, il Guinness dei primati per l'albero più costoso, allestito in un lussuoso hotel di Abu Dhabi, spendendo la vertiginosa cifra di undici milioni di dollari, tra bracciali e collane d’oro, diamanti, zaffiri, rubini e smeraldi. Lo sfolgorio degli addobbi e delle pietre preziose oscurano definitivamente il legame con la ricorrenza religiosa e la nascita di Gesù.

Vero o finto?

La sensibilizzazione verso i temi ambientali ha alimentato negli ultimi decenni un dibattito sull’acquisto dell’albero di Natale più sostenibile: vero o sintetico?
Tra le motivazioni pro e contro, a favore dell’uno o dell’altro, l’esito non sembra scontato. Inaspettatamente, secondo un’analisi condotta dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), gli alberi vivi avrebbero un’impronta ecologica più bassa.

Se le vendite sembrano confortare almeno in parte questo dato e la maggioranza ancora sceglie quelli sintetici, convinta di contribuire alla salvaguardia delle foreste, forse occorre precisare che gli abeti messi in commercio non hanno verosimilmente mai visto un bosco.
Provengono quasi sempre da aziende specializzate, concentrate soprattutto nel nord Europa, che li coltivano appositamente per il mercato natalizio. Ogni albero espiantato o tagliato viene rimpiazzato da una pianta giovane.

Un altro aspetto positivo è dato dall’assorbimento di anidride carbonica dall’atmosfera durante tutto il periodo di crescita in vivaio, contribuendo a mitigare l’effetto serra.

L’impronta ecologica

Il costo in termini ambientali è dato quindi dalle migliaia di chilometri percorsi dagli alberi veri prima di entrare nelle nostre case. Lo stesso però vale per quelli sintetici che varcano i confini di interi continenti e oceani, se si considera che l’80% di questi prodotti sono marchiati made in China.

Uno studio del Carbon Trust afferma che un albero di dimensioni medie, realizzato con materiale plastico, PVC o polietilene, richiede all’incirca 20 chilogrammi di petrolio, e sostiene che il 66 per cento delle emissioni di gas serra è correlato all’uso della materia prima mentre il 25 per cento alle fasi di fabbricazione. Solo il 9 per cento è imputabile al trasporto.

Si calcola dunque che l’impronta ecologica di un albero artificiale di due metri sia dieci volte superiore rispetto a uno vero, se quest’ultimo viene riutilizzato per produrre energia o sostanza organica, il doppio se gettato in discarica. Per contro, uno sintetico richiede all’incirca due secoli per la completa degradazione.

“Compostiamoci bene”

I dati più recenti sulle vendite evidenziano comunque una certa controtendenza, con una crescita significativa della richiesta di piante naturali, tanto da incoraggiare la ripresa del florovivaismo nostrano nelle zone montane che forniscono generalmente abeti rossi nelle Alpi Orientali e bianchi nell’Appennino.

La produzione nazionale, concentrata in Veneto e Toscana, rappresenta l’alternativa ecologica a quelli provenienti da altre nazioni, specie se si scelgono vivaisti più scrupolosi e attenti alle questioni ambientali, che non fanno uso di fertilizzanti chimici e pesticidi di sintesi.

Alla multinazionale Ikea, da sempre attenta a cogliere le evoluzioni di una clientela vastissima e trasversale, non è sfuggita l’ennesima opportunità commerciale.
Adeguandosi o forse anticipando la richiesta di prodotti natalizi più sostenibili, con la promessa di rimborsare l’importo speso una volta restituito l’albero dopo le feste, il marchio svedese sostiene un progetto di riqualificazione di aree a forte rischio idrogeologico, lanciando il claim furbetto e divertente: “Compostiamoci bene”.

Consigli dopo l’acquisto

Quelli determinati a tenere l’albero oltre il 6 gennaio, è scontato che ne abbiano scelto uno con le radici.

La pianta sarà molto grata a chi vorrà prendersi cura della preziosa zolla con annaffiature adeguate.
Sistemarla lontana dalle fonti di calore, che siano termosifoni o camini, è un imperativo assoluto, perché lo choc termico è nemico giurato di tutti i vegetali.

Infine, evitare a tutti i costi che i rami già carichi di addobbi e lucine si trasformino in parete d’arrampicata per simpatici e inarrestabili gattini o punching ball per cani annoiati.

Quando l’Epifania tutte le feste ha portato via, non resterà che riconsegnarla all’aria aperta e, con l’arrivo della primavera, procedere al rinvaso o all’interramento in giardino per le più fortunate.
Con un pizzico di fortuna e qualche cura supplementare, quell’albero potrà festeggiare insieme a noi il prossimo Natale.