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La carica dei selvatici

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La carica dei selvatici

Negli ultimi cinquant’anni si sono moltiplicati gli studi per analizzare il legame conflittuale, ma anche di grande amore, tra uomo e animale.

L’obiettivo è stabilire nuove alleanze, trovare formule di convivenza rispettose da inserire in progetti multi-disciplinari.

In questo quadro rientrano i programmi di reintroduzione dei grandi predatori giunti quasi all’estinzione negli ultimi decenni del Novecento, dopo secoli di persecuzione e caccia indiscriminata, di dominio del territorio e distruzione del loro habitat da parte dell’uomo.

Il cambiamento nell’uso del suolo, il calo di popolazione, soprattutto nelle aree montane a favore di centri urbani in continua espansione, l’introduzione di un corpus normativo di tutela dei grandi carnivori, hanno favorito la ricolonizzazione delle loro storiche aree di distribuzione in Europa.

Lupo solitario

Nell’immaginario umano il lupo è da sempre tra i favoriti alla nomination di animale cattivo e sanguinario, per natura e definizione.

L’estrema diffidenza nei suoi confronti sappiamo però essere immotivata, e la distanza tra il pericolo reale e quello percepito è enorme.
Un’immeritata fama di malvagità, nelle fiabe come nella vita, ha giustificato per secoli atti di barbarie e persecuzione.

I fatti documentati raccontano però un’altra storia, e questa dice che l’ultimo episodio letale risale all’ormai remoto 1825, in nord Italia.
Una realtà davvero trascurabile, se confrontata alle più frequenti aggressioni, talvolta mortali, ad opera del suo discendente addomesticato, migliore amico dell’uomo, ossia il cane.

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati italiani, quella del lupo è una specie “vulnerabile” e per questo protetta sin dal 1971.

Diversamente da quanto accaduto all’orso bruno, non sono mai stati dedicati progetti mirati alla reintroduzione di questo formidabile predatore, schivo e solitario, che quasi mai si avvicina all’uomo. Che infatti, a sua volta, raramente avrà l’emozione di vedere un lupo in tutta la propria vita.

La riconquista spontanea di alcune aree montane e collinari, avvenuta negli ultimi quarant’anni, è legata soprattutto alla disponibilità di habitat e prede naturali. Il lupo può contare sulla stabilità delle popolazioni di ungulati, grazie all’esistenza di una rete di aree protette in cui vivono cinghiali, cervi, caprioli, camosci, che costituiscono la sua principale fonte alimentare.

L'avanzata del cinghiale

Se il lupo è il cattivo per antonomasia, il cinghiale è un Attila devastatore.
La maggior parte degli esemplari diffusi nella penisola è il risultato dell’incrocio tra la specie italica, oggi presente quasi esclusivamente in Sardegna, e quella continentale, proveniente dai paesi centro europei e balcanici, molto più grande ed estremamente prolifica, introdotta fino alla fine degli anni ’80 a scopo venatorio, e poi nuovamente sostituita da immissioni di cinghiali locali.

Grazie alle straordinarie doti di resistenza e adattabilità, questi animali sono in grado di vivere in una grande varietà di ambienti, diffondendosi e moltiplicandosi anche al di fuori degli areali tradizionali.
Inoltre una certa disponibilità di cibo, anche di provenienza antropica, concorre a un rapido sviluppo fisico, dettaglio tutt’altro che secondario se si pensa che la maturità sessuale delle femmine non è data dall’età ma dal raggiungimento del peso-soglia di trenta chilogrammi circa.
Una femmina con una disponibilità alimentare elevata, che vive in un ambiente favorevole, può riprodursi precocemente a partire dai sette mesi, anziché un anno e mezzo o due, partorendo ogni volta dai 4 ai 6 cuccioli.

La guerra dei numeri

Per la difficoltà a censire il loro numero esatto, la guerra delle cifre sovra o sottostimate, difficilmente può essere avvalorata da dati oggettivi, prestandosi più facilmente a dichiarazioni faziose a sostegno o contrarie all’adozione di politiche di contenimento.

Nessuno può comunque negare che un’emergenza cinghiali esista, e che la sovrappopolazione provochi ogni anno danni consistenti alle coltivazioni, oltre a rappresentare un pericolo per quegli automobilisti che, non di rado, incrociano esemplari che si spostano sul territorio, anche per decine di chilometri, alla ricerca di cibo.

Al di là degli estremismi di gruppi integralisti su fronti opposti, non vi è dubbio che l’attività di contenimento debba essere fatta nel rispetto di regole stabilite, affidata a persone molto preparate e motivate eticamente.

Italia selvatica

Daniele Zovi, autore del bel libro intitolato “Italia selvatica”, in un’intervista racconta di come “l’Italia nonostante sia una delle otto potenze mondiali nell’economia e nell’industria, si stia rinselvatichendo... I boschi sono molto aumentati...
In questi ultimi vent'anni abbiamo assistito all’aumento, ad esempio, dello sciacallo dorato; che proviene dai paesi dell'est: il suo luogo d’origine è la Bulgaria, dov'è più numeroso. I “nostri” arrivano dalla Slovenia, entrano dal Friuli Venezia Giulia, e un paio di individui sono stati visti attraversare il Po a nuoto.
Come dimensioni è una via di mezzo tra la volpe e il lupo. ... Secondo me arriverà a brevissimo anche nelle regioni centrali.”

Lo sciacallo che risalì il Po

Non sappiamo che direzione abbiano preso quegli esemplari che hanno attraversato il Po a nuoto, ma certamente ce n’è uno che ha risalito il corso del fiume fino al Parco del Po vercellese-alessandrino.

Il 29 luglio 2020, all’interno dell’area protetta, il naturalista Andrea Maestri segnala la presenza di quello che al suo occhio competente sembra uno sciacallo dorato.
La conferma arriva poco tempo dopo, grazie alle immagini catturate da una rete di fototrappole.

 Lo sciacallo dorato è giunto in Italia poco più di trent’anni fa e solo a partire dal 1992 è stato incluso nella lista della Fauna Italiana.

La decimazione del lupo nella seconda metà del Ventesimo secolo, naturale antagonista e predatore di questa specie, è una delle ragioni della sua espansione in tutto il subcontinente europeo.
Ma il recente ritorno del lupo ha sottratto ampie porzioni di aree forestali spingendo sempre di più lo sciacallo verso i delta fluviali o altre zone umide di pianura, in territori più antropizzati.

Questo spiega l’alta mortalità stradale a cui spesso vanno incontro. Risale a pochi giorni fa, 19 marzo 2021, il ritrovamento di un esemplare, un giovane maschio, investito e ucciso da un'auto sulla provinciale di un comune del torinese.

Forza Ursus!

Il lato oscuro dei selvatici continua ad ogni modo a esercitare un fascino misterioso, ma al tempo stesso mette in allarme quelle popolazioni che si sentono minacciate fisicamente da una vicinanza considerata eccessiva oppure danneggiate nelle loro attività economiche.

Ne è un esempio la reintroduzione dell’orso bruno sulle Alpi Centrali e Occidentali, frutto del progetto Life Ursus, finanziato dall’Unione Europea e avviato una ventina di anni fa con l’obiettivo di salvare l’esiguo nucleo di plantigradi autoctoni prossimi all’estinzione.

Innestando sette femmine e tre maschi provenienti dalla Slovenia, il programma pare aver funzionato oltre ogni aspettativa.
Oggi gli esemplari sono più di sessanta e si muovono in un’area compresa tra Lombardia, Veneto, Friuli, Trentino-Alto Adige, valicando talvolta i confini con la Svizzera, l’Austria e la Germania.

Negli ultimi anni gli avvistamenti di orsi particolarmente confidenti in aree abitate e alcuni episodi di aggressione da parte di soggetti considerati “problematici” si sono fatti più frequenti, incrinando il rapporto con i residenti sempre più ostili, indipendentemente dal rischio effettivo.

La fuga di Papillon

E’ il caso dell’orso M49, soprannominato Papillon per le sue rocambolesche fughe dall’area faunistica trentina di Casteller, scavalcando un muro elettrificato di quattro metri, catturato e rinchiuso per la terza volta dal Corpo forestale, anche se non ha mai aggredito nessun umano.
Evidentemente la sola idea di saperlo libero nei boschi è bastata a infiammare gli animi, alimentare nuove polemiche e vecchie paure.

Negare loro la libertà significa però condannarli a una vita di reclusione, tradendo lo spirito originario del progetto di reintroduzione voluto dall’uomo, dimenticando gli interrogativi morali sulle necessità etologiche primarie di questa specie.

Ma a sorpresa, al Presidente della Provincia di Trento, è  arrivata un'offerta di trasferimento di tre soggetti problematici.

A firmare la lettera è nientemeno che Brigitte Bardot, da anni impegnata sul fronte animalista: “...La mia Fondazione… gestisce un vasto parco degli orsi in Bulgaria, … Possiamo pertanto offrire le migliori condizioni di accoglienza a DJ3, M57 e M49, a cui tra l'altro verrebbe attribuito un nome che non sia più una matricola da prigioniero.”.

Per M49 andrà benissimo “Papillon”.