Federico Sacco nasce a Fossano il 5 febbraio 1864 da Giuseppe Sacco, medico condotto, e Faustina Quaglia, di nobile famiglia torinese.
Sin da piccolo è affascinato dalle montagne e dalla geologia: "Dalla mia natia cittadina, Fossano, fronteggiante il Monviso, fin da giovinetto ammiravo, uscendo appena di casa l'ardita piramide dentata...".
Ricordando la gita fatta con la madre alla base di quella “piramide”, fino a quel momento osservata solo da lontano, scriverà: "... alla semplice ammirazione estetica, si aggiunge la curiosità di conoscere perché dalla catena alpina fosse balzata fuori la slanciata cuspide, iniziai così presto la mia carriera di studio e divenni geologo.".
Una lunga carriera
"Felix qui potuit rerum cognoscere causas", fortunato colui che ha potuto conoscere le cause delle cose, la citazione di Virgilio spesso da lui usata, esprime molto bene la sua profonda necessità di comprendere ogni cosa attraverso l’osservazione e l’indagine scientifica.
Il giovane Federico si trasferisce a Torino dove nel 1884 si laurea in scienze naturali.
In questa stessa città, inizia una lunga carriera universitaria che andrà aventi per oltre un trentennio,
Dal 1883 fino al 1886 ebbe l’incarico come assistente al Museo di zoologia e anatomia comparata. Libero docente in geologia nel 1886, ottenne due anni più tardi la cattedra di geologia alla Scuola di applicazione per gli ingegneri di Torino e dal 1903 fu professore ordinario e direttore del Museo di geologia e mineralogia.
Nel 1935, collocato a riposo, venne nominato professore emerito al Politecnico di Torino.
Fu anche membro dell'Accademia delle scienze di Torino, dell'Accademia dei Lincei e della Sociéte géologique de France. E amcora gli venne affidata la presidenza del Comitato glaciologico italiano e della sezione del CAI di Torino per il quale scrisse numerosi articoli, sia per la Rivista sia per il Bollettino, collaborando inoltre a tutte le iniziative del comitato scientifico.
Scienziato alpinista
Federico Sacco, erede di una generazione di appassionati scienziati alpinisti, fu discepolo del geologo piemontese Martino Baretti, collaboratore e amico di Quintino Sella e di Luigi Bellardi, famoso paleontologo genovese.
Atletico e infaticabile, grande escursionista e camminatore, dichiarò che le sue osservazioni geologiche sul campo si erano estese per 22.000 chilometri, e altrettanti probabilmente ne avrebbe ancora percorsi: "Tale studio riesce ad accoppiare la ricerca del Vero colla contemplazione del Bello, unitamente all'utile quanto naturale esercizio ginnastico".
Non stupisce perciò che fosse riuscito ad attraversare a piedi quasi tutte le montagne dell’arco alpino italiano e una buona parte dell’Appennino. Nel 1904 pubblicò una carta dell’Appennino settentrionale e centrale alla scala 1:500.000; tra il 1922 e il 1942, diede alle stampe trentanove fogli della Carta geologica d’Italia alla scala 1:100.000, tra cui quelli di Torino, Vercelli, Macerata e Pesaro.
Altra dimostrazione della sua non comune capacità di lavoro è data dal volume "Le Alpi”, stampato per il Touring Club Italiano nel 1934, con oltre mille immagini fotografiche di montagne e paesaggi italiani, nel quale le osservazioni scientifiche sono riportate con uno stile divulgativo che, come scritto nella prefazione, rende il testo “sommamente dilettevole ed istruttivo”.
Naturalista eclettico
Nonostante fosse uomo di scienza moderno e rigoroso, come molti naturalisti eclettici di quel tempo, Sacco non si dedica soltanto alla geologia e alle discipline correlate - paleontologia, glaciologia, geoidrologia - ma allarga il campo d’indagine all’astronomia, geofisica, biologia, storia della scienza e speleologia, una grande passione un po’ trascurata dai suoi biografi.
Eppure è proprio un giovane Sacco, ancora studente, il primo a entrare nelle grotte del Piemonte, affascinato dall’esplorazione di quei luoghi non certo privi di insidie se si considera le tecniche e i mezzi disponibili assai limitati.
Se ne occupò per tutta la vita e il suo primo lavoro speleologico su nove grotte della Val Casotto, venne pubblicato nel bollettino del CAI quando aveva solo vent’anni.
Per arricchire il dibattito e lo scambio tra studiosi, ma anche semplici appassionati, Sacco fu tra i fondatori del circolo “Urania” che aveva sede in un alloggio di sua proprietà, al quale erano ammessi tutti coloro che amavano discutere di temi scientifici.
Tra i frequentatori più assidui c’era Don Pietro Franchetti, noto per aver messo insieme una pregevole raccolta di colibrì, visibile ancora oggi nell’omonimo museo torinese.
Un'opera monumentale
La geologia e la paleontologia rimarranno per Sacco il fulcro dei suoi interessi e delle pubblicazioni.
Nel 1887 riprende l’opera di Bellardi: I molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria e nel 1890 completa il sesto volume, lasciato incompiuto dal maestro, mentre il trentesimo verrà dato alle stampe nel 1904.
Si tratta di un’opera monumentale, con 12.299 illustrazioni di conchiglie fossili descritte, che documenta importanti raccolte in massima parte andate distrutte in seguito ai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale.
Quel che resta della Collezione Bellardi e Sacco è conservata ancora oggi al Museo di geologia e paleontologia dell’Università di Torino.
Nel corso della sua prolifica carriera, Sacco fu autore di più di seicentotrenta pubblicazioni su varie discipline connesse alle scienze della Terra. Pubblicò oltre sessanta lavori di paleontologia e i suoi studi sui ghiacciai alpini, novantaquattro in tutto, corredati da un ampio apparato fotografico, sono oggi una preziosa testimonianza del ritiro dei ghiacci a causa dei mutamenti climatici.
Federico Sacco muore a Torino nel 1948 all'età di 84 anni. Sul Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano viene ricordato con queste parole: “Nessun altro come Sacco compì tanta opera nel campo della glaciologia e con tanto appassionato fervore: da tutta l'opera del grande Maestro traspare il fascino che su di lui esercitarono i grandi spettacoli della natura”.